Per una Scuola che Educhi ai Valori dell'Umanesimo e del Dialogo
A cura del Dirigente Scolastico
Si narra che qualche giorno prima di morire Emanuele Kant abbia ricevuto una visita da parte del suo medico, che era anche suo amico.
Quantunque vecchio e malato, Kant si alzò e se ne stette in piedi finché il medico comprese che Kant non si sarebbe seduto fin tanto che lui stesso non si fosse accomodato. La qual cosa egli fece e allora Kant si sedette sulla sua poltrona e disse queste parole: "Il senso dell'umanità non mi è ancora venuto meno". Con queste parole e, in particolare, usando questo termine, il grande filosofo, ormai prossimo alla morte, voleva rivendicare con forza una orgogliosa consapevolezza del valore e della dignità dell'uomo, nonostante le offese della malattia e della decadenza fisica.
Storicamente la parola humanitas ha avuto due significati diversi: il primo risultante dal confronto tra l'uomo e ciò che è meno dell'uomo; il secondo dal confronto tra l'uomo e ciò che è più dell'uomo. Nel primo caso con humanitas si intende un valore, nel secondo un limite.
Il concetto di humanitas come valore era stato definito nel circolo che faceva capo a Scipione il Giovane (basti pensare a Terenzio e al suo famoso: "Homo sum: nihil humani a me alienum est"), e Cicerone ne fu il più esplicito anche se tardo esponente. Con tale concetto si sintendeva la qualità che distingue l'uomo non solo dagli animali, ma ancor più da colui che, pur appartenendo alla specie umana, non merita il nome di "homo humanus": dal barbaro, cioè, o dall'uomo volgare, cui mancano "pietas" e "paideia", cioè il rispetto per i valori morali e cultura ed educazione.
Nel Medioevo il termine mutò significato in quanto l'umano fu visto in contrapposizione al divino invece che all'essere animale o al barbaro. Perciò le qualità che in genere vi erano associate erano quelle della fragilità e della caducità ("humanitas fragilis, humanitas caduca").
Così la concezione rinascimentale dell' humanitas venne ad avere fin dall'inizio un apetto duplice, in quanto il rinnovato interesse per l'uomo si fondava sul recupero della contapposizione classica di "humanitas" e "feritas" o "barbaritas", e sulla sopravvivenza della contapposizione medievale di "humanitas" e "divinitas". Quando Marsilio Ficino definisce l'uomo come anima razionale che partecipa dell'intelletto divino, ma opera in un corpo, lo definisce come il solo essere che è insieme autonomo e finito, e quando nella sua famosa orazione "Sulla dignità dell'uomo" Pico della Mirandola afferma che Dio ha posto l'uomo al centro dell'universo, non vuol dire che l'umo "è" il centro dell'univrso, ma che lì è stato messo da Dio in modo che possa aver coscienza del luogo dove si trova e liberamente decidere "dove volgersi".
Da questa concezione ambivalente di humanitas nacque l'Umanesimo che, più che un movimento, è un atteggiamento che può definirsi come la convinzione nella dignità dell'uomo, fondata ad un tempo sulla rivendicazione dei valori umani (razionalità e libertà), e sull'accettazione dei suoi limiti (fallacia e fragilità), da cui conseguono i due postulati della responsabilità e della tolleranza.
Non fa meraviglia che contro questo atteggiamento si sia potuto muovere da due campi opposti, uniti nella comune avversione alle idee di responsabilità e tolleranza. In uno di questi campi si trovano i negatori dei valori umani: i deterministi (credano essi in una predestinazione divina, fisica o sociale), i sostenitori e i teorici della violenza (da parte del gruppo, della classe, della nazione o della razza) e gli autoritari. Nel campo opposto stanno coloro che negano i limiti umani per una specie di libertinismo intellettuale o politico, e sono gli esteti, i vitalisti e gli adoratori dell'eroe.
Sull'Umanesimo, che sotto questo aspetto si configura come l'elaborazione culturale più preziosa dell'Occidente, si fondano gli aspetti migliori della società moderna e al tempo stesso della nostra scuola.
In particolare sono le scuole di impostazione licealistica a trarre diretta ispirazione dalla visione umanistica della vita.
Ciò lo si può facilmente desumere dagli stessi programmi scolastici che, anche quando sono inerenti a materie di carattere scientifico, pongono sempre al centro il problema dell'educazione integrale e la relazione con l'uomo, con la storia, con la società.
Inoltre tutte le innovazioni che sono state introdotte negli ultimi quindici/venti anni vanno in questa stessa direzione, accentuando e sottolineando i valori della tolleranza, del dialogo costruttivo tra le diverse culture e le diverse componenti scolastiche, dell'innovazione razionale in rapporto alle nuove esigenze della società, e, soprattutto, della centralità dello studente con i suoi bisogni cognitivi, le sue problematiche esistenziali, le sue aspettative.
Del resto, se si è partecipi di un'autentica visione umanistica della vita e se quello umanistico è davvero il sistema valoriale di riferimento che si vuole proporre ai giovani da educare, bisogna a piene mani attingere fiducia nella razionalità che è in noi e negli altri, nella validità delle scelte didattiche che responsabilmente operano i docenti, nella capacità di sviluppare, tra docenti e studenti, relazioni di reciproca stima e collaborazione, facendo funzionare una condivisione vera di scelte e di decisioni; in definitiva bisogna fidare in tutti quei valori che aiutano gli studenti a raggiungere, attraverso il dialogo educativo, autonomia di giudizio e senso di responsabilità.
La buona riuscita della scuola si misura, infatti, fondamentalmente, sulla capacità di promuovere questi due risultati. Ogni persona è portatrice di peculiarità, di bisogni, di attese, di desideri; la scuola, e per lei gli insegnanti, deve valorizzare le ricchezze di ciascuno e far sì che esse siano messe in comune con gli altri, in un processo di crescita che si deve caratterizzare proprio per quegli elementi di razionalità e di responsabilità che progressivamente essa scuola riesce ad indurre.
A questo proposito va detto che un compito di particolare importanza spetta agli insegnanti delle discipline più propriamente umanistiche. Tali insegnanti, a causa degli stessi programmi che svolgono, dispongono di una corsia preferenziale per ancorarsi nel loro lavoro quotidiano, alle conquiste effettuate dal pensiero umano in tutti i campi e all'opera dei grandi del pensiero e della cultura di ogni tempo e luogo, da Omero a Virgilio, da Socrate a Buddha, da Platone a Gesù Cristo, da Dante a Shakespeare, da Galileo ad Einstein; per tale via essi possono più facilmente perseguire l'idea di una scuola altamente formativa in quanto capace di promuovere negli studenti la capacità di cogliere i rapporti tra i valori della cultura di ogni tempo e luogo e la vita di oggi.
Si tratta di una opportunità non indifferente, che la scuola, forse oggi più di ieri, deve cogliere e sfruttare fino in fondo, se si vuole davvero formare, nel modo più alto e significativo, le giovani generazioni.